Come ha detto il ministro Speranza siamo in una fase di “convivenza” con il virus, ma sono certa che sapremo tutti insieme scegliere le misure adatte a fronteggiarla nei prossimi mesi. Il mio intervento in Senato di oggi 14 luglio 2020
Grazie Presidente. Colleghe e colleghi, gentile ministro,
la ringrazio per una così esaustiva relazione che ha illustrato chiaramente perché la proroga delle misure previste dal DPCM dell’11 giugno sia un atto doveroso. Ho l’impressione che nel paese si stia diffondendo l’errata opinione che l’emergenza sia finita e ci si stia dimenticando di quello che è stato. Allora permettetemi di ricordare in quest’aula alcuni dati estrapolati dal rapporto Istat “IMPATTO DELL’EPIDEMIA COVID-19 SULLA MORTALITÀ TOTALE DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE PRIMO TRIMESTRE 2020”:
Considerando il mese di marzo, si osserva a livello medio nazionale una crescita del 49,4% dei decessi per il complesso delle cause. Se si assume come riferimento il periodo che va dal primo decesso Covid-19. (20 febbraio) fino al 31 marzo, i decessi passano da 65mila e 592 (media periodo 2015-2019) a 90mila e 946, nel 2020. L’eccesso dei decessi è di 25mila e 354 unità. A causa della forte concentrazione del fenomeno in alcune aree del Paese, i dati riferiti a livello medio nazionale “appiattiscono” la dimensione dell’impatto della epidemia di Covid-19 sulla mortalità totale.
Il 91% dell’eccesso di mortalità riscontrato a livello medio nazionale nel mese di marzo 2020 si concentra nelle aree ad alta diffusione dell’epidemia: 3.271 comuni, 37 province del Nord più Pesaro e Urbino. Nell’insieme di queste province, i decessi per il complesso delle cause sono più che raddoppiati rispetto alla media 2015-2019 del mese di marzo. Se si considera il periodo dal 20 febbraio al 31 marzo, i decessi sono passati da 26.218 a 49.351 (+ 23mila e 133). All’interno di questo raggruppamento le province più colpite dall’epidemia hanno pagato un prezzo altissimo in vite umane, con incrementi percentuali dei decessi nel mese di marzo 2020, rispetto al marzo 2015-2019, a tre cifre: Bergamo (568%), Cremona (391%), Lodi (371%), Brescia (291%), Piacenza (264%), Parma (208%), Lecco (174%), Pavia (133%), Mantova (122%), Pesaro e Urbino (120%).
Nelle aree a media diffusione dell’epidemia (Centro-Nord) l’incremento dei decessi è molto più contenuto, da 17mila e 317 a 19mila e 743 (2.426 in più rispetto alla media 2015-2019); Infine, nelle aree a bassa diffusione (Centro e del Mezzogiorno) i decessi del mese di marzo 2020 sono mediamente inferiori dell’1,8% alla media del quinquennio precedente.
Tra questi vi è una quota di circa 11.600 decessi per la quale possiamo, con i dati oggi a disposizione, soltanto ipotizzare tre possibili cause: una ulteriore mortalità associata a Covid-19 (decessi in cui non è stato eseguito il tampone), una mortalità indiretta correlata a Covid-19 (decessi da disfunzioni di organi quali cuore o reni, probabili conseguenze della malattia scatenata dal virus in persone non testate, come accade per analogia con l’aumento della mortalità da cause cardiorespiratorie in corso di influenza) e, infine, una quota di mortalità indiretta non correlata al virus ma causata dalla crisi del sistema ospedaliero e dal timore di recarsi in ospedale nelle aree maggiormente affette.
A oggi in Italia si contano 243mila e 344 casi e 34mila e 984 morti
Nel mondo sono oltre 13 milioni i casi confermati dall’inizio dell’epidemia e quasi 600 mila i morti, i casi salgono al ritmo di oltre 200 mila al giorno negli ultimi giorni… Mi auguro che questi numeri servano a dissipare i dubbi che ogni tanto circolano su internet sulla scarsa pericolosità del Covid-19 e sulla mortalità.
Anche in Italia abbiamo nuovi focolai laddove calano le misure di sicurezza, nelle nostre imprese tra i nostri lavoratori, in Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, tra persone provenienti regolarmente dall’estero. Questo dovrebbe farci capire chiaramente che il virus non ha perso forza, non è meno aggressivo.
È stato il nostro governo a mettere in atto le misure giuste per fronteggiare l’emergenza, come ribadito anche dal direttore generale dell’Oms: «A marzo, Italia e Spagna erano l’epicentro della pandemia di Covid-19. Al culmine dell’epidemia, l’Italia contava più di 6.500 nuovi casi al giorno. Il Paese ha riportato la situazione sotto controllo con una combinazione di leadership, umiltà, partecipazione attiva di ogni membro della società e un approccio globale. È stata affrontata una situazione spaventosa, ma è stata ribaltata».
Insomma è sotto gli occhi di tutti che l’emergenza dal punto di vista sanitario non è finita, come ha detto anche lei signor ministro, siamo in una fase di “convivenza” con il virus, ma sono certa che sapremo tutti insieme scegliere le misure adatte a fronteggiarla nei prossimi mesi.
Le conoscenze sulla patologia sono aumentate e abbiamo messo in atto tutte le misure per fronteggiare una eventuale recrudescenza dell’epidemia. Abbiamo potenziato il nostro servizio sanitario nazionale, aumentato stabilmente il personale sanitario, quel personale a cui va tutta la nostra gratitudine per quanto fatto fino a ora.
Possiamo e dobbiamo potenziare la diagnosi precoce, soprattutto per coloro che provengono dall’estero, attraverso una maggiore diffusione dei test sierologici e molecolari, dobbiamo tenere il passo con l’innovazione scientifica e tecnologica, mai come in questo caso. Solo in questo modo potremo pensare nell’immediato futuro di poter porre termine alle poche limitazioni che ancora ci sono ma che sono indispensabili per tutelare tutti noi e contenere il più possibile il rischio di una seconda ondata di contagi.